Il partigiano del gusto
Testo di Pietro Fratta e Arianna Mariani
Foto di Vito Corvasce
Per secoli questo posto è stato un mulino, prima ancora chissà cos’altro. Durante la guerra la sua cantina fu nascondiglio di partigiani finché un aereo militare andò a conficcarsi contro senza esplodere, dando vita a una gigantesca scultura futurista. Dopo la guerra l’edificio – diroccato – divenne il rifugio di una vecchia contadina solitaria e un po’ matta che tirava i sassi per tenere alla larga i bambini incuriositi dal suo personaggio. Quel posto, insieme con i contorni magici rimasti negli occhi di quei bambini continuò a dormire per anni nel cuore di due di loro. I bambini diventarono grandi, uno di loro andò in giro per il mondo a fare il cuoco, un altro dopo anni di tentativi riuscì ad acquistarlo per abitare al piano superiore. Ma che fare del piano terra e della cantina? Il caso volle che tornassero ad incontrarsi. Giulio pronunciò le sue parole con la solennità laica tipica della Romagna profonda: “È giusto che tu torni a fare Ivan a casa tua”. Più che una proposta suonava come il richiamo della terra d’origine. Ivan Fantini, nato a Morciano nel 1971 non poteva rifiutare.
La storia di Veglie In Volo inizia davvero quando Ivan Fantini decise, su consiglio del vecchio amico di infanzia Giulio, di aprire un ristorante proprio laddove erano iniziati i loro giochi di bambini. E allora “Veglie In Volo – Osteria Con cucina” perché nell’antica cultura del luogo le porte dell’accoglienza dovevano essere sempre aperte un po’ come una veglia continua, l’unico modo di socializzare per i contadini; per quanto riguarda il volo... Il Volo Del Gaggio era il soprannome della strada ed è una parola che rende bene il senso sospeso della cucina di Ivan; Osteria Con Cucina per rispolverare il concetto di tradizionalità tipico dell’osteria.
L’incontro fra una personalità spiccata e libera come lo chef Ivan Fantini e i progettisti Andrea Ugolini e Massimo Sirotti ha permesso di ricreare uno spazio in cui l’ospitalità sia intesa nella sua accezione più profonda e ormai dimenticata: un tentativo di confrontarsi con la clientela, scambiare idee, sensazioni. Il progetto di restauro dell’edificio è stato anche un recupero della sua anima. Il locale è stato riveduto con sobrietà e partecipazione dai progettisti. Le pareti esterne ripulite, contaminate dal mattone a vista che distingue l’ambiente interno; le finestrature dagli infissi chiari inseriti su aperture ad arco a sesto ribassato, scuroni azzurri originali e rivalorizzati. La sala vicino all’ingresso diviene angolo di vecchi sapori e ricordi; a un lato una nicchia riservata a un tavolo con tratto pavimentale in cristallo e vista dell’interrato dove si possono ancora vedere le macine del vecchio mulino.
Il locale diventa la reinterpretazione di una storia dove l’attenzione alla cucina diventa attenzione a ogni elemento del passato. La volontà di Ivan di portare “dentro” il senso del cucinare in strada, quindi senza barriere fra la cucina e la sala è stata tradotta al meglio dai progettisti che hanno studiato alcuni tagli sul muro che le divide, in modo da rendere comunque trasparente il lavoro dello chef. Non è però una cucina ruffiana quella di Ivan Fantini, anzi sa essere rude - di un rude di gran fascino - come nella terrina di “quinto quarto” d’agnello, se non addirittura violento quando sposa il cioccolato amaro con i fagiolini a far da contorno al pollo nostrano marinato alla senape. Una violenza di sapori equilibrata dalla carezza della vellutata di carote. Conquista l’antipasto di ricotta di pecora con cannella e zenzero, miele d’acacia e fresca misticanza dell’orto. Avvolgono i profumi dell’olio al basilico che accompagna gnocchetti di patate su una foglia di parmigiano con pomodori acerbi e buccia fritta di melanzane. Chiudono il latteruolo con una superba crema al caffè e il tortino di cioccolato con quenelle di melanzane e spuma di Campari.
Cestino del pane da girone dei golosi, piccola ma bella carta dei vini.